Vita di Giuseppina Berettoni
- Famiglia - Infanzia - Giovinezza (1875-1895).
- Vita Claustrale: la "Monachite" (1895-1901; 1907-1908).
- Dalle "Suore di Carità Figlie di N.S. al Monte Calvario".
- Dalle "Missionarie del S. Cuore" della Cabrini.
- Dalle Clarisse di San Cosimato al Celio (Roma).
- Suo Apostolato.
- Attività educativa.
- Fenomeni mistici.
- Ultimi bagliori
- Morte Preziosa
Famiglia - Infanzia - Giovinezza
(1875 - 1895)
Giuseppina, Annunziata, Enrica Berettoni nacque a Roma in Via dei Quattro Cantoni, nei pressi della Basilica Liberiana, il 6 agosto dell’anno 1875, proclamato da Pio IX ‘Anno Giubilare del perdono e del Rinnovamento Spirituale’. Fu battezzata nella Basilica di S. Maria Maggiore il giorno 9 dello stesso mese di agosto e cresimata in S. Giovanni il 31 dicembre del 1886.
I genitori, di
condizione modesta ma dignitosa, vissero intensamente il periodo che
precedette la sua nascita; aumentando il loro fervore e la vita
spirituale. Essi vennero presto a conoscenza di alcune premonizioni sul
futuro di Giuseppina, destinata ad essere un'anima speciale. Tra
l’altro, una zia previde il verificarsi di un parto gemellare e
consigliò di chiamare la prima nata delle due gemelle, Giuseppina; e
così avvenne.
La madre,
Orsola Marini, laziale, ebbe 10 figli il cui destino spirituale le stava
tanto a cuore da giungere fino a pregare Dio, come aveva fatto S. Rita
da Cascia, che togliesse loro la vita piuttosto che si macchiassero di
un peccato mortale; e questo in modo speciale per Giuseppina.
Il
padre, Cesare Berettoni (nato a Morrovalle Macerata – nel 1839;
deceduto a Roma il 15 agosto 1898), impiegato nell'ufficio sanitario di
Roma, era un uomo molto rigido nell'educazione dei figli e sinceramente
religioso. Alla morte della mamma, quando Giuseppina aveva solo quattro
anni, il padre si occupò della sua educazione con premura e
sollecitudine ancora maggiori.
La
prima confessione di Giuseppina avvenne all'età di 3 anni; ella stessa
racconta che in quell'occasione il Signore le concesse il discernimento
del bene e del male tanto quanto ne avrà successivamente in età adulta.
Giuseppina
fu una bimba vivacissima, ma il Signore, già dall’infanzia, lavorava in
quest'anima, come possiamo costatare leggendo i pensieri e le
aspirazioni raccolte nei diari da lei compilati tra gli otto e i tredici
anni e mezzo.
Questi
scritti rivelano una maturità e una consapevolezza di sentimenti non
facilmente riscontrabili nei bambini della sua età: sentimenti che si
svilupperanno poi, in un continuo crescendo, fino alla decisione di
darsi completamente a Dio, dedicando la propria vita alla salvezza delle
anime.
Fino dalla tenera
età dimostrò il suo particolare amore per l'Eucaristia, vero centro
della sua esistenza, come è evidente dalle sue lettere e dai suoi
scritti in genere.
Di
questo Sacramento aveva sempre un ardente desiderio e vi si accostava
con grande trasporto per essere veramente gradita allo Sposo dell'anima:
Gesù Bambino. La sua preparazione consisteva in atti piccoli, ma
concreti, che rivelavano la sua volontà lucida e decisa a combattere il
peccato ed ogni più piccola imperfezione. Ella, però, si rammaricava
molto nel rilevare che, dopo sette comunioni avesse fatto solo pochi
progressi: "Con oggi sono stati sette Gesù che ho preso, ma ancora non sono diventata buona (aveva fatto poco o nessun progresso). A
casa sì, a scuola no, perché chiacchiero sempre con Fabrizi e alla
maestra dispiace e così dispiacerà a Gesù che non vuole bene alle
ragazzine chiacchierone come me".
Percorse
tutte le tappe della vita spirituale di un’adolescente con grande
trasporto d'amore e con l’intima consapevolezza della caducità delle
cose del mondo, che la spinse piuttosto a scegliere di perseguire i beni
eterni. A nove anni aveva pronunciato anche il voto di Verginità.
Vita Claustrale: la ‘Monachite’
(1895 - 1901; 1907 - 1908)
L'esigenza interiore di Giuseppina per la vita claustrale non fu mai soddisfatta, anzi le cagionò non poche sofferenze dato il suo rifiuto per la vita del mondo, così contrario a quella di Dio. Non ancora quattordicenne così affermava nel gennaio 1889:
"Le feste e i piaceri del mondo mi mettono una grande tristezza nell’anima e mi fanno desiderare di più il Paradiso...
Mi
pare impossibile amare Gesù e desiderare di vivere; è come dire amare
la luce e cercare le tenebre. La vita terrena è tenebre, quella celeste è
luce perché vi è Gesù che è per il Paradiso quello che è il sole pel
mondo da noi abitato; calore e vita. E vita e calore e luce io sento fra
le fitte tenebre di questo mondo, solo allora che mi avvicino a Gesù e
mi nutro delle Sue carni".
Purtroppo, proprio da quegli Istituti cui tanto aspirava e dai quali, all’inizio, sarà accolta e trattenuta con entusiasmo, in seguito sarà respinta, a causa di incomprensioni, invidia, ma soprattutto per gelosia dei grandi carismi di cui era dotata. Tali fatti Giuseppina accetterà con rassegnazione, vedendo anche in questi rifiuti la volontà di Dio. Solo più tardi potrà acquietare il suo spirito in un Istituto moderno: quello secolare delle ‘Missionarie della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo’, fondato dai francescani lombardi Padri Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Arcangelo Mazzotti, futuro Arcivescovo di Sassari.
Ma
quali risvolti drammatici prima di giungere, come si suol dire, a buon
porto! Solo Dio sa a quale mortificazioni e umiliazioni andrà soggetta! È
incredibile, ma è pur vero che proprio negli ambienti in cui sovrana
dovrebbe regnare la contemplazione, lì si trovi la maggiore resistenza a
questa.
Dalle Suore di Carità
Figlie di N. S. al Monte Calvario
Siamo alla sua prima esperienza religiosa (l’anno è il 1895) fra le figlie di Nostra Signora di Monte Calvario che allora avevano la residenza della Madre Generale e il Noviziato in Via Agostino Depretis. Fin dall'inizio della sua entrata era pronta a fare favori ed aiutare tutte le suore senza distinzione di grado, anche nei servizi più bassi, ritenendosi l'ultima di tutte; ciò che, però, maggiormente colpiva le consorelle era il fervore della sua preghiera che le riempiva di dolce meraviglia ma anche di santa invidia. Era giunta così addentro nella contemplazione degli attributi divini, che, quando ne sentiva parlare, vibrava tutta e, ci dice l’Antico «mentre il suo viso si colorava, gli occhi diventavano più scintillanti».
Se poi
sentiva nominare la ‘Divina Bontà’ doveva combattere per non cadere in
deliquio, cioè in estasi autentica. Del resto, con la solita semplicità,
lo dice lei stessa nella sua relazione citata ancora dall'Antico:
"Il mio cuore ne era rimasto soggiogato in guisa che al solo nominare Bontà infinita mi sentivo struggere; e spesso, mio malgrado, uscivo in dimostrazioni esteriori che le Suore chiamavano ‘estasi’".
Ciò poteva accadere negli ambienti più impensati, come anche sul pulpito del refettorio, quando leggeva la vita di qualche santo, come quella del Domenicano:B. Enrico Susone, che si prestava molto allo spirito di Giuseppina.
Purtroppo,
nonostante che le prove di stima ricevute da eguali e da superiori
fossero tante, a lungo andare, tutto ciò doveva segnare l'inizio del suo
‘calvario’. Giuseppina stessa scrisse :
"Io credo che, fatta eccezione del peccato, la fama di estatica è il guaio più grosso che possa capitare ad una religiosa; perché se creduta, l'umiltà ne correrà pericolo; se no la sua pazienza".
E ciò, del resto, è un fatto che Giuseppina stessa definiva umanissimo. Ma non ‘troppo umanissimo’, se dobbiamo credere ad una relazione della sua compagna Bianca Savarise.
Proprio
da parte delle anziane (professe), tutto questo provocò una forte
animosità verso Giuseppina ancora più accentuata dalla gelosia per le
sue capacità nell'apostolato e particolarmente per il sospetto creatosi
che fosse anche una delatrice dell'Istituto dopo che si venne a sapere
che ella, eseguendo ordini superiori, inviava al Cardinal Vicario una o
due lettere il mese, attraverso Mons. Radini Tedeschi
Non
ci volle molto per espellerla dall'Istituto. E il motivo fu suggerito
allo stesso dottore del convento: quello di allucinazione, che alle
avversarie più accanite doveva apparire il più valido e plausibile
davanti, soprattutto, alle autorità religiose. Era il giugno 1897.
Dalle ‘Missionarie del S. Cuore’ della Cabrini
Né migliore fortuna ebbe la sua esperienza religiosa tra le Missionarie di Madre Cabrini (S. Francesca Saverio). Vi era entrata a Codogno (Lodi) il 20 settembre 1897 e ne era uscita in un giorno non precisato dei primi mesi dell'anno 1901.
Motivi
di questa uscita? Anche qui quelle solite gelosie e i pettegolezzi che
suscita una forte personalità com'era quella della Berettoni. Anche dopo
il suo rientro dall'Argentina (alla fine del 1900) causato da
un'infezione colerosa, non aveva cessato di prodigarsi nella
sorveglianza e cura delle ragazze nel Convitto di Milano. Tutto inutile:
non fu compresa; anzi, più vivamente si ridestarono le dicerie
sfavorevoli che avevano varcato l'Atlantico, quando essa era ancora in
Argentina.
Fu messa sotto stretta sorveglianza e isolata da tutte.
Riferisce
Nora Massa, una delle più valide testimoni della permanenza di
Giuseppina fra le Missionarie del S. Cuore di Gesù, che Mons. Radini
Tedeschi, incontratosi in Roma con Madre Cabrini, nella casa di Via
Montebello 3, all'accenno fattosi di Suor Ignazia (tale era il nome
preso da Giuseppina in questo Istituto), con la schiettezza e la forza
che lo distinguevano, disse:
“Dicono che la Berettoni sia un'esaltata, un'isterica e ch’io so. Ebbene è testa più salda di questa parete.” E battè le nocche sul muro.
“Dicono che la Berettoni sia un'esaltata, un'isterica e ch’io so. Ebbene è testa più salda di questa parete.” E battè le nocche sul muro.
Purtroppo, la Madre Cabrini, non bene informata sugli aspetti autentici della personalità di Giuseppina, dello spirito di orazione che la divorava; si era convinta che questa era divenuta una specie di capo dell'opposizione e pertanto un pericolo serio per la compattezza del suo Istituto, la cui condotta doveva riflettere anche nell'andamento spirituale lo stile dell'ambiente lombardo: semplice, concreto, senza nulla che potesse sapere di strano, o peggio di paranormale.
L'epilogo di questa incomprensione, anche se fra Santi, fu ovviamente il licenziamento dall'Istituto, ai primi dell'anno 1901.
Dalle Clarisse di S. Cosimato al Celio (Roma).
La ‘Monachite’ mai spenta del tutto, neanche dopo i due negativi esperimenti dal 1895 al 1901, qualche tempo dopo riprese a solleticare lo spirito di Giuseppina che, se pur impegnata sul piano di apostolato e caritativo, sempre era ugualmente assetata di raccoglimento e di preghiera, di vita intima con Dio. Troppi pericoli nel mondo, troppa la gente che la stimava; alti prelati che ammiravano in lei lo zelo, la dottrina sicura, passati al vaglio rigoroso di commissioni di teologi, etc.; troppi elementi che potevano turbare la sua modestia e la sua serenità.
A farla decidere
di entrare fra le Clarisse del Celio, non poco contribuì una certa
suora Antonia Mariani, già sua compagna fra le Missionarie della
Cabrini.
A renderci conto
del fervore che animava Giuseppina in questo nuovo ambiente (la Mariani
vi era entrata precedentemente, nel Giugno 1907), basta riportare qui
l'elenco di penitenze e di preghiere che ella sottopose al suo Direttore
P. Blat nel periodo di carnevale del 1908; come pure le esortazioni
pressanti che ella fa alla ‘sorellina-amica’ (Suor Teresa Maria del
Convento di Gesù Bambino di Via Urbana a Roma), perché in questo stesso
tempo: “alla vigilia di quella tristissima epoca in cui gli uomini,
quasi concepissero un dovere, si danno bel tempo, quali trascurando,
quali oltraggiando il Sommo Bene...”, si unisca a lei in preghiere, mortificazioni, comunioni per riparare in qualche modo perché “l’onore di Dio sia risarcito...”.Così le:
A:- Proposte di ‘mortificazioncelle’ per Pentecoste.
B:-
Ma di pari passo, parallelamente a questo esercizio di preghiera e di
penitenza, non manca di attendere, per spirito di obbedienza (anche se
si sente di essere portata in altra direzione), agli umili lavori di
cucina, di pulizia, etc..
Così scrive a Suor Teresa Maria, nella Lettera-Diario del 15 marzo 1908: "Le mie distrazioni od occupazioni non sono solo con anime, ma pure con esseri insensibili: con le pentole e tegami, ad esempio, quando sono di cucina: ch’è spesso e volentieri; e quando no, con le spazzole e le scope; tranne quando mi dedico a ricamare in seta abitini od altri ninnoli, a cui non mi sento veramente inclinata".
Così scrive a Suor Teresa Maria, nella Lettera-Diario del 15 marzo 1908: "Le mie distrazioni od occupazioni non sono solo con anime, ma pure con esseri insensibili: con le pentole e tegami, ad esempio, quando sono di cucina: ch’è spesso e volentieri; e quando no, con le spazzole e le scope; tranne quando mi dedico a ricamare in seta abitini od altri ninnoli, a cui non mi sento veramente inclinata".
Ma
è soprattutto per spirito di carità che attenderà alle consorelle
inferme, com’è nello spirito delle Regole francescane proprie dei tre
Ordini.
Così quando, agli
inizi della primavera del 1908, un'epidemia influenzale prostrò a letto
un buon numero di religiose, Giuseppina senza nessun riguardo per sé, si
diede al servizio delle inferme, tanto che poté scrivere a P. Blat che
mai le era toccato di fare una così intensa assistenza ai malati.
Ciò
nonostante la Madre Badessa, che in un primo momento era rimasta
entusiasta di Giuseppina (tanto da metterla a parte dei suoi progetti di
riforme della Comunità), aveva cambiato atteggiamento da quando la
stessa Giuseppina, in tre Capitoli si era opposta con solidi argomenti,
assieme alle giovani, all’entrata di una sessantenne di dubbia
vocazione. Di qui, pertanto, la Badessa ne ritardava la vestizione con
vari pretesti. Ma, alla fine, la Badessa diede il suo consenso per tale
atto.
Con la vestizione, però, non cambiò l’opinione negativa nei suoi riguardi sia della Madre
Badessa sia delle monache più anziane. E poi accadde un fatto che fece
precipitare gli eventi.
Una
povera monaca, angustiatissima di coscienza, sentiva ripugnanza
indicibile ad aprirsi col confessore ordinario e ne desiderava uno
straordinario. Non osava chiederlo, temendone un rifiuto. Giuseppina,
venuta a conoscenza del tormento di quella povera consorella, spinta
dalla sua carità, pregò il suo padre spirituale, P. Blat, di venire in
aiuto.
Il Padre informò
della cosa il Cardinal Vicario, il quale senz'altro nominò un confessore
straordinario per tutto il tempo necessario a quell'anima tanto
bisognosa di aiuto.
Il
fatto, venuto a conoscenza della Badessa come provocato da Maria
Gesuina, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ecco come la Badessa
sintetizza ‘accaduto scrivendo al P. Blat il 20 e 22 settembre 1908: "Con
dolore sommo devo dirle che Maria Gesuina, è inutile il lusingarsi, ha
bisogno di confessori straordinari più volte al mese, cosa impossibile
per una monaca di clausura...
....
Non per giustificarmi, ma per Sua norma, il Capitolo fu fatto la sera
del 20, presente il nostro Padre Provinciale. Le vocali siamo 11, i voti
neri furono 11. La prego sollecitare l'uscita, essendo questo l'ordine
dei Superiori...".
Giuseppina
uscì dalla clausura il 24 settembre di quell'anno. Ma nonostante tali
dolorose vicende, ella aveva scritto, poco tempo prima: "Nel
mio interno (e che deve trapelare pure al di fuori), godo una pace, una
soavità indicibile, tanto da farmi esclamare tra lo sbigottimento e la
riconoscenza: Sei pur buono, o Signore, in degnarti di consolare così
l'indegna tua ancella!
Però,
Padre mio, ho timore che la soavità che si è sparsa nell'anima mia,
Gesù me l'abbia data per castigo, non avendo saputo in altre occasioni
soffrire con allegrezza ... Che ne pensa lei Padre? Il fatto si è ch'io
sono in perfetta pace. E sono in pace nell'interno benché esternamente
non veda che confusione e bisbiglio".
Da tutti questi ‘fallimenti’ di vita religiosa di Giuseppina, possiamo trarne una chiara conclusione: Dio la voleva apostola laica. Se le permise degli esperimenti di vita in convento, fu perché anche colà spargesse qualche influsso della vita soprannaturale, che esuberante ferveva nella sua anima. Ma poi doveva tornare a rivelarla in mezzo al mondo.
Suo Apostolato
Il suo apostolato laico fu decisamente orientato in molte direzioni: poveri, moribondi, fanciulli, giovani, peccatori, prostitute, sacerdoti, etc., operando, possibilmente attraverso i vari organismi come le Parrocchie, i Terz’Ordini, la Congregazione delle Figlie di Maria, l'Azione Cattolica.
Nel
suo metodo di fare apostolato, alla mancanza di rigore, di sistema (che
le scienze pastorali pedagogiche oggi offrono), Giuseppina sopperì non
solo con doti personali, come l'intuizione e l'acutezza - ch'ella ebbe,
al dire di Mons. Radini Tedeschi, assieme alla parola facile e
infuocata, in grado esimio -, ma soprattutto con i doni dello Spirito
Santo (Colui che dovrebbe sostenere ogni apostolato): la grazia, il
discernimento (frutto della sapienza e della scienza dello Spirito) e
particolarmente la carità, che nel suo insaziabile zelo faceva dire a
Giuseppina: "Tutte le mie forze, tutta la mia vita voglio spendere per fare conoscere Gesù in mezzo al popolo cristiano".
Dice il D’Orazio: "Era destinata, ad esercitare una missione universale, come esempio di missionaria laica. Ne dovevano beneficiare un po' tutti: religiose e religiosi, ecclesiastici e laici, professionisti ed operai, ricchi e poveri, indifferenti ed atei, figlie di Maria e donne perdute, malati e morenti e con particolare dilezione gli innocenti bambini".
Nelle parrocchie, negli asili, in baracche improvvisate alla periferia di Roma, era abilissima e solerte nel preparare prime comunioni, nell'organizzare festicciole d'occasione. Era brava direttrice di canto e suonava assai bene la chitarra. Le vie di Roma, l'Agro Romano, il Lazio, la Liguria, la Lombardia, le Marche e persino la lontana Argentina (1899 - 1900) la videro passare come Angelo benefico, disponibile a tutte le sollecitazioni di soccorso, prodigandosi verso tutti come pia samaritana.
Nel
contatto con le anime, fu animata da una fiducia sconfinata nell’Amore
Misericordioso che Gesù ha per esse. Della fiducia in questo amore, Ella
fece il fulcro delle sue conquiste, il tema prediletto dei suoi
discorsi col quale convinceva anche i sacerdoti a praticarla.
In una lettera al suo Direttore P. Blat, così scriveva il 4 agosto 1913: "Sia
dolce e indulgente con i peccatori, in modo da fare sentire loro tutta
la dolcezza della Misericordia di Dio, di cui egli è, specialmente nel
ministero della confessione, ministro e dispensatore. Cerchi di
provocare nei penitenti che le si presenteranno piuttosto un dolore
amoroso, che timoroso. E perciò parli della bontà divina, e non tanto
della Sua giustizia, mentre ella, so bene, tende ad essere piuttosto
giusto che buono".
Qui temendo di essere stata troppo ardita aggiunge:
"Perdoni buon Padre le mie osservazioni: m'è costato fargliene; ma avrei creduto di mancare di semplicità facendogliele in altra maniera; e non facendogliele avrei temuto di mancare al mio dovere...".
Quale dovere! Quello di sostenere a tutto spiano e con fermo accento, le parti della Misericordia Divina. Allo stesso Direttore raccomanda infatti rivolgendosi, anche col ‘tu’, in tono materno, di trattare le anime “con amorevolezza somma” come si riscontra in questa lettera del 9 marzo 1915:
"Soprattutto nel confessionale, è necessario armarti di questa lente. Procurare di vedere nelle anime, che ti si presentino, attraverso le loro brutture e deformità morali, ancorché mostruose, l'immagine di Dio. Oh allora quale sarà la tua compassione! La tua amabilità con esse!".
Si era offerta vittima per i sacerdoti già fin dal 1896, quando il suo Direttore di spirito era Mons. Radini Tedeschi. E nella festa del Corpus Domini di quell’anno il Signore ne fece un'apostola presso di loro. Così Gesù le aveva detto:
"La missione che Io ti affido a pro dei miei Ministri, richiede grande spogliamento di te stessa e molta, molta orazione. Dì al tuo Confessore che ti disponga; egli sarà il primo su cui l'eserciterai".
E verso i sacerdoti Giuseppina usò una sollecitudine tutta materna ma talvolta anche il tono forte.
Quanti incontri le procurava il Signore per questo delicato Ministero!
Una
volta è mandata nella Chiesa del Gesù per tranquillizzare, lì nel
confessionale, un Padre:, una testa piena di libri, ma più piena di
dubbi, di angosce e di paure e gli dice: «Badi quello che sta leggendo è
fede e basta». E gli chiude il volume fra le mani.
Altra
volta in Via Condotti, ferma un sacerdote per rivelargli lì sulla
strada “tutti i suoi peccati e indurlo prima di andare a celebrare la
Messa a scappare nella vicina chiesa dei domenicani, a piangere e
confessarsi”. Era il 30 marzo 1907.
Altra
volta, nell'estate del 1920, faceva un po' di villeggiatura
sull’Appennino ligure con un'amica (Nora Massa ex compagna nell'Istituto
delle Missionarie della Cabrini). Un pomeriggio, prima di entrare in
Chiesa, tanto lei quanto la Massa, si soffermarono sul sagrato a
prendere un po' di riposo all'ombra. Ma ecco passare presso di loro un
sacerdote che recitava tranquillamente il breviario. Giuseppina lo fissa
un istante, poi scatta in piedi e dice alla compagna: “Va a dire a quel reverendo che desidero confessarmi”.
Il sacerdote chiude il breviario e se ne va al confessionale. Dura
circa un quarto d'ora, quella confessione. Alla fine, lei viene via
tutta raggiante di gioia; l'altro se ne va dritto dritto all'altare,
s'inginocchia e si abbandona al pianto. La mattina appresso, il
sacerdote, incontrandosi con la signorina che aveva fatto da
intermediaria (la Nora Massa testimone principale del fatto) le dice: “È cosa tremenda avvicinare un'anima santa”.
Questo
Sacerdote, con lettera del 16 luglio 1955, a chi gli chiedeva una
testimonianza sulla Berettoni, ricordava ancora bene il lontano episodio
e diceva:
"Debbo attestare che nel più intimo contatto del confessionale, ella mostrò di conoscere le intime condizioni del mio spirito, note a me solo, e debbo dire d’avere ricevuto da questo suo interessamento nei miei riguardi immenso profitto spirituale - di cui ancora ringrazio il Signore".
"Debbo attestare che nel più intimo contatto del confessionale, ella mostrò di conoscere le intime condizioni del mio spirito, note a me solo, e debbo dire d’avere ricevuto da questo suo interessamento nei miei riguardi immenso profitto spirituale - di cui ancora ringrazio il Signore".
Ma non sono le sole testimonianze del suo interessamento per la santificazione del Clero. Vivissima preoccupazione per esso traspare da lettere che lei inviava anche a Mons. Onorio Magnoni, prelato romano. Così in una lettera del 4 gennaio 1915, dopo averlo ringraziato per il grande aiuto dato ad una famiglia colpita da sventure, da lei conosciuta, ed essere rimasta non solo grandemente consolata di questa carità proveniente da un sacerdote che ama tanto Gesù, ma ancora più consolata per aver la prova di essere guidata da uno che ha la scienza di Dio perché ripieno di squisita carità, così scrive:
"Non so se gliel'ho mai detto, Padre, in ogni modo sappia ch’io ho da tempo stabilito con Gesù di far tutto a vantaggio dei Sacerdoti; perché sono Essi i continuatori dell’opera di Gesù: la salvezza delle anime per la glorificazione del Padre Celeste. E vorrei avere mille vite ad un tempo (e tutte trascorrerle nei più duri sacrifici), per impedire la perdita d’un solo Sacerdote, e per ottenere a un solo la perseveranza nel bene, e l’accrescimento nella carità! Si stanno investigando tanti modi per migliorare gli uomini, per civilizzare il mondo e, secondo il mio debole parere, basterebbe che si moltiplicasse il numero di buoni e santi Sacerdoti. E non l’ha detto Gesù? - Voi siete il sale, etc... - parlando ai Sacerdoti? Se il mondo è scipito la ragione sta perché... il sale è mancante; si aumenti questo e non s‘avrà più a deplorare l’insipienza di quello.
Dico giusto, buon Padre? Compatisca il mio sfogo; se non la stimassi non Le farei simili confidenze...".
Ed ecco un'altra lettera, dell'8 marzo 1915. Dopo aver spiegato a Mons. Magnoni l'impossibilità di venire a trovarlo come si era proposta, manifesta allo stesso (perché l'Italia sta per entrare in guerra con l'Austria) l'idea di fare la crocerossina:
"In questo caso io bramerei fare parte della Croce Rossa per l'assistenza specialmente dei Sacerdoti che prendessero parte al combattimento. Nessun ostacolo avrei io per ciò da parte di parenti, i quali, grazie a Dio, non si occupano di me né in bene né in male.
Mi
sono sorti, però, nell’animo, due dubbi, due timori; uno: farei io cosa
gradita al Signore (in riguardo al mio voto di castità), espormi così
come dovrei esserlo fra le infermiere della Croce Rossa?
L’altro:
mancherei alla carità lasciando sola l’Annetta che non è ancora
definitivamente sistemata (dico con un impiego, scuola, etc.), non
avendo ella appoggio che il mio... debolissimo?
Probabilmente
ella mi seguirebbe e in questo caso non mi rimarrebbe che ad assodare
la prima difficoltà s’Ella, Rev. Don Onorio, la giudicherà tale. Le
dichiarai già in un’altra mia, che i sacerdoti sono i miei fratelli
prediletti; ed amandoli io tenerissimamente, perché oggetto principale
dell’amore di Gesù, non potrei saperli forse più in periglio di
qualsiasi combattente, senza adoperarmi per essi.
I
sacerdoti in battaglia, credo, che abbiano a soffrire il doppio di
quello che soffrono gli altri soldati, anche per parte di cattivi
commilitoni. E nella stessa Croce Rossa, alla quale fan parte una
moltitudine di increduli, e perfin di massoni, non potrebbero i Ministri
di Dio, trovare pericoli per l’anima loro, o trascuratezze ed anche
crudeltà nei loro bisogni fisici?.. Io non potrei dormire tranquilla
sapendo in guerra ai Ministri della pace".
Il consiglio di Mons. Magnoni non poteva che risultare ‘negativo’ e, pertanto, che ‘Giuseppina si mettesse in pace’; ciò però non toglie che le preoccupazioni riguardanti i sacerdoti richiamati al fronte fossero vivissime in lei.
Ecco quanto lei scrive nel suo Diario del 19 settembre 1915:
"Stringiamoci al seno della addoloratissima Madre nostra, uniamo le nostre alle Sue lacrime; rinnoviamo ai Suoi piedi il proposito di volere mille volte morire piuttosto che venir meno ai nostri propositi di virtù, e questo sarà di gran lenimento ai Suoi dolori.
Preghiamola,
preghiamola poi tanto per i nostri fratelli che non la pregano o perché
non La conoscono, ovvero perché La dimenticarono; ma in modo tutto
speciale, preghiamola per tanti poveri giovani consacrati a Dio che
trovano la morte dell’anima là, sui campi di battaglia, ove il nemico ha
teso le sue insidie.
Preghiamo
la Vergine perché mitighi le loro passioni; da pericoli di peccare li
allontani; che reprima l’impeto delle loro tentazioni; e raffreni il
furore dell’infernale nemico, compiendo per ciò, se fa duopo, anche
strepitosi miracoli, come ha fatto tante e tante volte per salvare
ancora chi l’odiava...
Mettiamoci
tra la Vergine ed essi: sono anime che un tempo vissero nella purezza e
Santità; amiche di Dio, devote alla Vergine, ed ora l’eterno nemico
dell’uomo ha vilmente accalappiato nella sua sozza rete.
Anime votate a Dio; a Lui legate con più amorosi vincoli; da Lui singolarmente amate!".
Attività Educativa
C'è
un lungo scritto del Dottor Paggi, che era stato suo allievo per
diversi anni, da cui risulta come Giuseppina possedesse per istinto la
scienza pedagogica. Si mostrava comprensiva, dolce, buona; anche il
ragazzo più caparbio ed indisciplinato non tardava ad essere conquistato
dal sorriso incantatore e dalle parole che uscivano dal suo cuore di
mamma. Essa sapeva per istinto manovrare tutti i mezzi alla conquista
dei monelli più irrequieti, riuscendo ad insegnare come in una trama
sottile, pur nell’ambiente laico liberale dell’Asilo Savoia, la
religione, la morale e la pratica di una preghiera, in modo che non
riuscissero pesanti e noiose. Con questa sapiente pedagogia il seme del
bene messo in quei cuori effervescenti dei fanciulli, non poteva
rimanere sterile. Una simile semenza, magari dopo un’invernata cruda,
pur tra rovi e ortiche, un qualche fiore doveva indubbiamente produrre.
Importante
circa la sua attività educatrice è quanto afferma Nora Massa. Questa,
che la conosceva fin dal 1898, accenna al fascino che Giuseppina
esercitava sulle giovani studentesse a cui era stata assegnata come
assistente. Piccola di statura, grande, però, ella appariva a quelle
giovani per le virtù che le disegnavano un’aureola, ingrandita
dall’entusiasmo, per averne loro, più volte e in circostanze varie,
sperimentate facoltà che non potevano ritenersi che soprannaturali.
Sarà opportuno rileggere, a questo punto, quanto scrive Nora Massa:
"La singolarità di Giuseppina, non affiorava da atteggiamenti e pose assunte volontariamente, ma da un complesso di dati che costituivano la sua esemplarità, fra soggetti dotati di quella che fu detta l’aurea mediocrità".
"La singolarità di Giuseppina, non affiorava da atteggiamenti e pose assunte volontariamente, ma da un complesso di dati che costituivano la sua esemplarità, fra soggetti dotati di quella che fu detta l’aurea mediocrità".
Ed infine la testimonianza autorevole della Contessa di Brazzà, allora Presidente del Comitato degli Asili Agro Romano, in una lettera del 20 gennaio 1927 indirizzata alla Annetta Fattori:
"Giuseppina fu una santa che passò sulla terra facendo del bene, e lasciando di sé un ricordo di pietà e di bontà che sarà da tutti ricordato, ma specialmente dal Comitato che additerà in essa una stella fulgida di esempi e di opre pure e pietose...".
Fenomeni mistici
Premesso
questo, diciamo che i fenomeni mistici di cui Giuseppina beneficiò
furono molti e i più disparati: visioni, locuzioni interiori,
bilocazioni e perfino il dono dello scambio del cuore operato dallo
stesso Bambino Gesù.
Giuseppina,
infatti, era un'anima totalmente libera dagli attaccamenti umani, che
ardente com’era di amore di Dio, attirava su di sé grazie veramente
eccezionali.
Così accadde
che un giorno il Bambino Gesù le apparve e in un discorso, che potrebbe
apparire incomprensibile a molti, le parlò dello ‘scambio del cuore’
dove, per tale cosa, intendeva in realtà una grande effusione d'amore di
Dio nell'anima. Gesù per rendere più viva e penetrante tale azione di
Giuseppina, le diede ad intendere di toglierle veramente il cuore come
in un’operazione chirurgica e di trapiantarle il suo facendo così
intendere, al vivo (gesti analoghi sono presenti anche nella Bibbia
quando Dio tratta con i Profeti), che d'ora in poi i suoi sentimenti in
tutto sarebbero stati simili a quelli del suo cuore.
Ne conseguì, pertanto, secondo le parole di Giuseppina:
1
- Una grande compassione verso il mio prossimo e desiderio del suo
bene; per questo infatti lascio volentieri e con slancio l’orazione,
benché mi sia molto saporita;
2
- Un grande desiderio che Gesù sia glorificato e venga il suo regno,
specialmente che si estenda il suo Regno Eucaristico, perché sono ancora
molto pochi quelli che lo frequentano e non con molta devozione;
Ed ancora una terza disposizione:
3
- Trovo in me anche facilità nel vedere in tutte le cose le
disposizione della Divina Bontà, sicché non già come nel passato, ora
nelle contrarietà sofferte, ed in quella che via via vado soffrendo, ho
una grande pace, tanto che qualcuno mi crede affatto insensibile.
Un'azione veramente ingegnosa da parte di Gesù Bambino, non nuova nella storia della Mistica (pensiamo a S. Margherita M. Alaquoque, a S. Gemma Galgani, etc.), che assecondava così gli ardenti desideri di donazione della sua consacrata e, nello stesso tempo, realizzava in lei il suo piano d'amore: farla cioè potente strumento di salvezza per i più bisognosi, per i peccatori, etc.
Il
dono che caratterizzò quest'anima mistica, il più attinente alla
missione di questa autentica ‘Galoppina di Gesù’, fu senz'altro quello
straordinario della bilocazione che le permetteva di trovarsi con il
corpo contemporaneamente in due luoghi, allorché il Signore o la Madonna
la inviavano, misteriosamente, a compiere salvataggi di ammalati
dell'ultima ora, oppure per consolare persone a lei care.
Il
Signore (similmente a quanto si legge, ad es., nella vita di S. Antonio
di Padova, di S. Pio da Pietralcina), la faceva passare a porte chiuse,
come se avesse già un corpo glorificato, nei luoghi e nei momenti
cruciali, quando urgeva la sua presenza per salvare qualcuno o evitare
che fossero commessi peccati gravi. Del fenomeno rimanevano sorprese
anche persone non facili ad impressionarsi. Infatti, una volta il
Direttore di un ospedale romano (nei pressi di S. Maria Maggiore, oggi
sede dell’Istituto Orientale), sbalordito, le chiese come avesse potuto
introdursi a così tarda ora nel reparto, con il portone già chiuso. Al
che Giuseppina rispose candidamente che lei aveva il permesso di entrare
in tutti gli ospedali, e quando questi protestò chiedendole chi le
avesse dato il permesso ella rispose risoluta: «Chi è da più di lei!»:
A quelle mie parole - narra Giuseppina - il Direttore ed il portiere si sono levati il cappello, ed io sono uscita, trovandomi in camera mia.
Straordinario pure l'episodio di bilocazione a Buenos Aires (se ne fa cenno in una sua lettera del 13 giugno 1906), dove fu inviata a riprendere un Carmelitano che voleva gettare l'abito. Quegli, dopo un attimo di turbamento nel vederla lì presente, così misteriosamente, fu tanto sollevato dalle sue parole che immediatamente abbandonò il suo ingiusto proposito ed anzi baciò l'abito stesso promettendo di non lasciarlo giammai.
Anche un’altra
conversione miracolosa fu frutto di bilocazione. Il Signore questa volta
la inviò a rimettere ordine in una famiglia moralmente disastrata.
Ella, ritrovandosi nella loro abitazione, comprese per lume divino la
situazione dei due coniugi che avevano una bambina all'ospedale e altri 5
figli di cui tre all'ospizio dei trovatelli, senza essere stati
battezzati. Entrambi con scarsi principi morali, senza religione, in
perenne contrasto a causa della bambina malata, per la quale - però - il
padre nutriva uno speciale affetto, i due erano giunti a odiarsi a
vicenda. Mentre litigavano si avvidero della presenza di Giuseppina ed
ebbero un grande timore, ma ella li rassicurò che non era lì per punirli
ma per avvertirli, in nome di Dio, di cambiare vita, mostrando di
conoscere esattamente la loro scabrosa situazione.
Giuseppina
spiegò loro che, in virtù dello speciale affetto nutrito dal padre per
la piccola figlia, Iddio voleva premiarlo, a condizione che entrambi i
coniugi conducessero una vita più dignitosa, per tutta la famiglia. Essi
seguirono i suoi consigli ed intrapresero una nuova vita, anche sotto
l’aspetto spirituale. Da questa nuova situazione spirituale ne conseguì
anche la grazia della conversione del nonno paterno, che non si
confessava da 45 anni. E in oltre il riavvicinamento alla Chiesa di un
altro figlio di questi. In questo, come in tanti altri episodi
clamorosi di conversione di peccatori avvenuti grazie a bilocazioni, la
presenza di Giuseppina ed il suo discorrere deciso procurava l'effetto
voluto, poiché a tutti appariva quasi portatrice della potenza stessa di
Dio. Come anche in altri due casi, consimili, che qui segnaliamo
semplicemente, ma che sono bene dettagliati nelle fonti. Uno è il caso
del ‘barbone’ Tommaso ritrovato in una grotta, moribondo, sulla Via
Flaminia; l’altro è quello di una certa Luigia, in Via Vaccina n. 52,
morente pur essa, il cui padre, garibaldino e anticlericale, non
permetteva che i preti l'avvicinassero.
Ultimi Bagliori
Che
avesse un fisico sano e robusto prova ne sono (al dire sempre
dell'Antico) anche le varie tribolazioni e sofferenze fisiche cui ella
per tutta la sua esistenza non si sottrasse e che praticamente le
procurarono non solo la conversione dei suoi fratelli bisognosi ‘i
peccatori’, ma pure la purificazione vieppiù dal fuoco della carità
esercitata verso di loro.
Qui se ne ricordano solo alcune:
-
La generosità con cui a dieci anni accolse la proposta d'una compagna
di scuola di farsi punzecchiare con uno spillo senza lamentarsi onde la
stessa facesse lo stesso suo voto alla Madonna di non negare cosa alcuna
che le fosse domandata in Suo nome.
- Ingiurie e calunnie sopportate in vari ambienti nei quali si era cimentata per la vita religiosa.
- Le reazioni violente sopportate in silenzio in un luogo infame dov'era stata una volta inviata dalla Madonna.
-
La sofferenza che sopportò volontariamente per vari mesi al posto del
malato di etisia nell'Ospedale S. Giacomo (Roma), incline alla
bestemmia, pure di ottenergli la guarigione fisica e morale, sofferenze
ch'ebbero non poche conseguenze fino a doversi trasferire a Genova per
curarsi ma dove per qualche mese, a casa di certi Tubino come cameriera,
si era dovuta, invece, assoggettare a fatiche inusitate.
- Camminate per chilometri e nottate in bianco, per assistere, ad esempio, un infermo, zio di un'orfanella a S. Angelo in Vado.
Altri sacrifici cui si sottopose nei periodi:
-
all'Asilo Savoia, come assistente di ragazzi; quelli per i quali giorno
e notte girava per la campagna romana, assistendo i malati di Spagnola;
- in casa di una consorella inferma del Terzo Ordine Francescano, per nottate e nottate.
Fisico
valido, invero, aveva che non fu mai risparmiato per i fratelli
bisognosi e sofferenti anche con veglioni (nottate intere di preghiera),
discipline, cilici, digiuni.
Nell’ottobre
1926, per le manovre ostili di politici locali, Giuseppina fu
trasferita dall'Asilo della Magliana a quello di Ponte Mammolo, altra
borgata nell’allora Agro Romano alquanto staccata, a quei tempi, dalla
città.
Colà la Chiesa più
prossima era a circa quattro chilometri, sicché la maggior parte di
quegli abitanti non aveva la possibilità, nemmeno nei giorni festivi, di
ascoltare la S. Messa. Giuseppina propose di raccogliere offerte per la
costruzione di una cappella.
Intanto
per il prossimo Natale volle procurare che almeno in quella festività,
tanto cara al cuore del cristiano, la gente della borgata avesse la
gioia di assistere alla celebrazione d'una Santa Messa.
Ottenne
dall'autorità ecclesiastica il permesso di far celebrare la Santa Messa
in un'aula della scuola. Andò alla ricerca di tutto l'occorrente per il
Sacro Rito e per il Presepio, camminando per chilometri col peso in
testa come usavano le contadine, senza darsi pensiero per la fatica. La
cattedra della scuola divenne l'altare e nel giorno benedetto numerosi
abitanti della borgata poterono assistere alla S. Messa celebrata dal
parroco di zona.
Rientrò a casa stanca morta ma felice di aver fatto «nascere Gesù in quella Borgata».
Pur
con la scuola a Ponte Mammolo, non abbandonò affatto le opere della
Magliana, ove aveva lavorato per circa nove anni; continuò a coltivarle
con grande solerzia.
In questo periodo estremo della sua attività, Giuseppina ha avuto il presentimento dell'approssimarsi alla sua fine?
Era
ancora in piena attività, aveva appena passato il 51 anno della sua
vita terrena. Eppure, possiamo affermare che ne ebbe desiderio e
anteveggenza.
Un giorno
del giugno 1926, trovandosi al cimitero del Verano con il suo cugino, il
Colonnello Onofrio Meluzzi, gli chiese di essere seppellita nella sua
tomba di famiglia, al lotto n. 2 del Pincetto Vecchio, dinanzi alla
quale si trovavano in quel momento. Il cugino in tono faceto le rispose:
- Volentieri, s'accomodi pure!
Egli morì due mesi dopo, all'età di anni 57; la promessa fu comunque mantenuta dalla sorella sig.ra Giulia Meluzzi ved. Damiani.
L'ultima
volta che Giuseppina si recò dal P. Blat per la confessione, fu il 12
gennaio 1927. Dopo aver parlato del suo lavoro a Ponte Mammolo, volle
avvertirlo che sentiva di morir presto. Il Padre non diede molta
importanza a queste ultime parole della sua figliola, ritenendole
piuttosto espressione di un suo desiderio di morire.
Già nel 1920 dopo la morte della sua amica Suor Teresa Maria Bianchi, scriveva:
"Io temo, Padre, temo di vivere perché temo di poter perdere da un momento all'altro la grazia di Dio. Non odio la vita, ma amo la morte; so ch'è un bene la prima e un bene maggiore la seconda. Invidio Teresa che ha già consumato il suo corso. Certo che la sua dipartita m'ha reso più amaro l'esilio... e più vivo il desiderio del Paradiso...".
E circa un mese prima della morte, così narra la Signorina Adelia Bulla, nel cui palazzo Giuseppina aveva il suo modesto appartamento dal 1920:
- un giorno, trovandosi da lei, dopo aver parlato di altre cose, esclamò:
"Fra un mese in Paradiso!".
Nel riferirlo la medesima signorina cercò di dare un'idea dell'atteggiamento di gioia con cui l'amica pronunciò tali parole, ripetendone i movimenti della persona e delle mani.
Il 7 gennaio 1927, Giuseppina scrisse alla sua amica Ines Siccardi, ricoverata nel sanatorio Umberto I, la seguente lettera:
"Non ho risposto alla Sua lettera, né Le ho inviato uno scritto per le grandi solennità passate, perché mi ero proposta di passare molte ore in Sua compagnia. Ma il mio povero cuore mi ha fatto mandare a monte i miei propositi. Non vuol più lavorare il poltronaccio... è malato e durante questo ultimo mese dell'anno 1926 mi ha dato molto fastidio, e a farlo apposta specialmente nei giorni che avrei dovuto venire da Lei. Domenica anzi arrivai fino alla piazza S. Giovanni, ma dovetti retrocedere. Ho delle strette improvvise e frequenti... in una di quelle rimarrò.
Evviva Gesù!
Fra una stretta e l'altra spero venire a vederla, almeno per congedarmi da Lei e prendere bene l'appuntamento per il Paradiso.
Mi aspetti, che ci andremo insieme... Vuole?
Col
cuore Le sono stata e Le sarò sempre vicina..., e non potendo parlare
con Lei di Gesù, ho parlato a Lui di Lei e ho offerto al Signore il
sacrificio di non poterla vedere.
A mezzo del mio buon Angelo Le invio un tenero abbraccio.
Coraggio
sorellina! Il sacrificio ci rende più simili a Gesù. Lasciamoci dunque
martoriare da quanti mali, vorrà l'amor Suo inviarci e pronunciamo con
gratitudine il fiat della completa nostra adesione alla Sua sempre
adorabile volontà".
E con riferimento al luogo della sua morte, che Giuseppina prevedeva come prossima, così ci ricorda Nora Massa:
"Un giorno scendevo con Giuseppina la scala secondaria che dal modesto appartamento - dove essa abitava in alto, in casa Bulla di Via quattro Cantoni, 19, negli ultimi anni della sua vita assieme alla Fattori - immette in Via Paolina, quando le dissi:
- Pensa, che difficoltà sarà, un giorno, se morrai qui, portar fuori la tua cassa! - (La scala invero è molto angusta)
- Stai tranquilla, Noretta - mi rispose- questo fastidio non lo darò a nessuno.
- Vuoi dire che tu intendi andare a stare in un grande palazzo?
- In un grande palazzo non ci andrò - furono le parole di Giuseppina - ma non disturberò nessuno".
E nella testimonianza della Ianigro, altra sua amica che nella circostanza era insieme con loro, vi è anche questa affermazione:
"Ho chiesto a Gesù di farmi morire in Chiesa dopo la Comunione".
In realtà Giuseppina negli ultimi tempi soffriva di debolezza cardiaca, che la costringeva ad alzarsi di notte per il malessere che l'opprimeva. Ma nonostante la sofferenza e le raccomandazioni del Direttore e della Fattori, il giorno 16 gennaio 1927, cioè la vigilia della sua morte, volle recarsi alla Magliana per zelare le opere di apostolato che vi aveva suscitato.
Voleva morire sulla breccia.
Tornando
a Roma, acquistò nel negozio della signorina Bianca Capponi un'immagine
del S. Cuore, che fece benedire nella Chiesa di S. Prassede.
Alla sera, già in letto e prima di addormentarsi, disse all'Annetta:
"Se muoio, ricordati di dare cinque lire, che oggi non avevo con me, alla signorina Bianca Capponi per l'immagine del S. Cuore".
Morte Preziosa
La mattina del 17 gennaio 1927, circa le ore 7, uscì per recarsi, secondo il suo solito, a S. Maria Maggiore. Portava una valigetta e l'ombrello, essendo cattivo tempo. Avendo salita la lunga scalinata dalla parte dell'abside della Basilica, entrò in chiesa molto affannata. Andò ad inginocchiarsi vicino ad Annetta alla balaustra della Sacra culla, ove si celebrava una Messa. Poi, passando alla cappella del Sacramento, fece la sua Comunione. Annetta che l'aveva preceduta, compiute le sue devozioni, la salutò e partì per la scuola.
Poco
dopo Giuseppina si recò in Sacrestia e, dopo aver venerato il
battistero ove era stata battezzata, si presentò al Parroco Mons. Fulvio
Antonelli per chiedergli a chi dovesse consegnare l'obolo raccolto per
la S. Infanzia.
Questi,
come ne ha riferito in una relazione scritta, conosceva solo di vista e
di fama Giuseppina, ma prima di quel giorno non aveva avuto occasione di
parlarle. Dopo che ebbe risposto alla sua domanda, colse l'occasione
per parlarle di quanto lei aveva fatto per il bene della popolazione
dell'Agro Romano, specie durante l'epidemia della Spagnola del 1918,
opere ch'egli ben conosceva. Giuseppina rammentò anch'essa alcuni
episodi e ringraziò il Signore di quanto aveva potuto fare:
Lo diceva - scrive Mons. Antonelli - con animo pieno di santa gioia.
- Ma - concludeva - sono malata di cuore, e questa mattina, se sapesse quanto soffro!.. Sia fatta la volontà del Signore!
Io - continua Mons. Antonelli - le raccomandai di aversi riguardo per l'asilo di Ponte Mammolo.
Giuseppina
dopo un atto di riverenza all'Altare della Confessione, andò a porsi
nell'inginocchiatoio che sta davanti alla Cappella Paolina, per chiedere
la benedizione alla Madonna ‘Salus Populi Romani’. Era da pochi minuti
in preghiera, quand'ecco gridò:
- Muoio, aiuto!
Fu pronto ad accorrere il mansionario, sig. Tobia Ruffaldi, lì presso per le pulizie, il quale la sorresse e l'accompagnò al lato centrale della coppia di colonne a sinistra, dove altre signore la posero a sedere su una sedia.
Tobia corse ad
avvisare il Parroco, il quale giunse sollecito e, vedendola, capì subito
che si trattava di un attacco di cuore. Appena Giuseppina ebbe scorto
Monsignore, gli chiese l'assoluzione; senonché quegli non supponendo una
fine così prossima, le diede una semplice benedizione. Avvedutasene,
Giuseppina gli disse:
- Lei non mi ha dato l'assoluzione; mi dia, mi dia l'assoluzione!
Allora Monsignore le suggerì qualche pensiero d'amore e fiducia in Dio; e dopo che ella ebbe detto l'atto di contrizione, le diede l'assoluzione. Subito Giuseppina, col sorriso, alzando gli occhi al Cielo:
- Signore - mormorò - quanto ti ringrazio! Ti offro la mia vita!
Perdette i sensi, e di lì a poco rendeva la sua anima innocente e santa a Dio.
Aveva
ben ragione di ringraziare il Signore; aveva infatti ottenuto quanto
aveva desiderato: chiudere gli occhi per sempre in Chiesa dopo la
Comunione.
Così nel Tempio
della Madre di Dio, dinnanzi alla sua vetusta immagine ‘Salus Populi
Romani’, ove aveva col Battesimo iniziato la sua vita di grazia, con la
morte iniziava anche la corsa verso la vita di gloria.
Alba e tramonto sotto lo sguardo materno di Maria.